TORTURATO NEI BUNKER DEL CAIRO IL RACCONTO CHOC
Ahmed Amashah detenuto senza accusa in una
prigione egiziana: «Qui gli uomini vengono annullati». Nei primi tre
mesi del 2017 sono state arrestate 871 persone, 50 sono state uccise e
altre 41 condannate a morte.
Nella sede della Sicurezza di Stato l’uomo viene annullato. Perde la
vista perché è perennemente bendato. Perde la mobilità perché è
ammanettato e perde persino la personalità perché qui non ha più un nome
o un cognome. Diventa un numero. E l’uno è stato il mio numero per
ventuno giorni». Questo è il racconto di Ahmad Abd ElSattar Amashah,
attualmente detenuto nel settore J della prigione di Tora, località sul
Nilo, a pochi chilometri a sud del Cairo. «Sono stato arrestato il 10
marzo e immediatamente portato nella nuova sede della Sicurezza dello
Stato, ad Abbassia. Sono stati gli altri detenuti a informarmi su dove
mi trovassi, io non vedevo nulla». L’oscurità ha avvolto la sua vita
quel venerdì mattina. E da quel giorno, per tre settimane, non ha visto
altro che buio.
Amashah, un rispettabile uomo di mezza età, è stato uno degli 871 egiziani arrestati
nei primi tre mesi di quest’anno. Ventisette di loro non hanno ancora
compiuto la maggiore età. I numeri, forniti dall’Organizzazione araba
per i diritti umani e documentati dal Centro El Nadeem, sono sempre
approssimati per difetto. Un terzo degli arrestati non risulta
ufficialmente detenuto in nessun luogo. Sono le vittime delle sparizioni
forzate. Sono i tanti Giulio Regeni d’Egitto.
Quando dall’altra parte del buco in cui l’avevano rinchiuso veniva
chiamato il numero uno, il dottor Amashah si preparava a rituffarsi
nell’inferno. A inizio mese, la prima volta in cui ha potuto rivedere la
luce del sole perché è stato finalmente portato in un tribunale, ha
voluto raccontare tutto al procuratore che lo dovrà giudicare per
qualcosa che non ha mai commesso. «Il primo giorno di detenzione sono
stato denudato e ammanettato ai polsi dietro la schiena. Sono stato
buttato a terra e per due giorni sono stato torturato con le scariche
elettriche. Il terzo giorno hanno minacciato di stuprarmi se non avessi
confessato ciò che mi chiedevano e ciò che non avevo mai commesso.
Quando mi sono rifiutato hanno abusato di me con un manganello e hanno
detto che avrebbero portato anche mia moglie e le mie figlie per
violentarle davanti ai miei occhi. Grazie a Dio questo non l’hanno
fatto». Per i giorni seguenti la sua vita si è allineata all’orribile
quotidianità di tutti gli altri detenuti. Solo il 13 aprile è stato
interrogato alla presenza degli avvocati. Ora è in attesa di una
sentenza.
Questa è una storia della crudeltà dietro alla crudezza di quei numeri.
Una delle tante che si ripetono e che abbiamo imparato a conoscere da
quel 25 gennaio 2016, quando Giulio non è mai arrivato a quella festa di
compleanno. Nei primi novanta giorni del 2017 almeno cinquanta persone
hanno fatto la fine del ricercatore italiano. Una ogni due giorni.
Diciotto egiziani sono stati giustiziati durante l’arresto, trentadue
sono morti nei luoghi di detenzione: cinque a seguito delle torture e 27
per mancate cure e negligenza da parte dell’amministrazione
penitenziaria.
«Collasso circolatorio». E’ la motivazione che più si ripete nelle
cartelle cliniche dei detenuti deceduti nei commissariati e nelle
prigioni egiziane. Questa dicitura ha accompagnato le salme di cinque
persone solo nel mese di marzo. Il più anziano aveva 41 anni, il più
giovane 25. Contro ogni statistica. Uno dei casi più recenti è datato 13
aprile ad Alessandria. Karim Medhat era stato condannato a due anni per
aver preso parte a una manifestazione non autorizzata. Si è ammalato in
carcere e durante la prima visita in ospedale non gli è stato
diagnosticato nulla. Lo hanno dunque riportato in cella dove è stato
abbandonato al quel destino già scritto. In ospedale ci è tornato una
seconda volta, per trascorrere l’ultimo giorno della sua vita.
L’avvocato della famiglia dice ciò che sanno tutti: «Non ha ricevuto le
cure di cui aveva un urgente bisogno».
I prigionieri non solo non vengono curati ma sono quotidianamente
sottoposti a torture. Oltre cinquanta i casi segnalati nel mese di
marzo. Altre persone sono state seviziate ancora prima di essere
arrestate. E c’è chi non è mai finito in manette perché è stato
giustiziato sul posto. Uno di questi è un insegnante che ha tentato di
evitare l’abbattimento della propria casa, ritenuta una costruzione
abusiva. E’ avvenuto il 30 marzo scorso nel governatorato di Buhayra,
nel nord del Paese. Quella mattina le autorità si sono presentate con le
ruspe al seguito per dare esecuzione al provvedimento giudiziale. Il
cittadino aveva però con sé anche una sentenza di sospensione che ha
cercato dunque di fare valere barricandosi in casa. Il comandante alla
guida della missione non ha esitato: ha dato l’ordine di abbattere la
costruzione con il proprietario all’interno. Una condanna a morte
eseguita sul luogo, davanti alla popolazione.
Le sentenze capitali pronunciate in tribunale, da gennaio a marzo, sono
state invece 41. Gli ergastoli 673, 7 al giorno (festivi compresi). In
questi giorni Papa Francesco è in Egitto anche per predicare la
misericordia. La speranza è che trovi qualcuno che lo ascolti.
Fonte:L'Espresso.it
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