lunedì 2 marzo 2015

DE LUCA DAL TRIONFO AI GUAI PER IL (PD) CHIEDE CHE VENGA CAMBIATA LA LEGGE SEVERINO

l candidato dem per la Campania, condannato in primo grado per abuso di ufficio, non potrebbe fare il governatore. E chiede al suo partito di cambiare la norma che ha portato alla decadenza di Silvio Berlusconi



Avevano tentato di persuaderlo in ogni modo, i vertici democratici, a non candidarsi per le primarie in Campania vista fra l’altro la condanna in primo grado per abuso d’ufficio: pressing, preghiere, ultimatum, candidature a cambiare i giochi come quella – poi caduta – di Gennaro Migliore.
E invece no, lui ha resistito, e infine ha vinto, ancora, alla faccia dei gufi direbbe quello. Certo, per il momento lo spettro di qualche possibile irregolarità ai seggi del Pd resta, ma dalla sede dem ci si precipita già a proclamare il “tutti con Vincenzo”, cioè a seguire il tipico pragmatismo renziano del “se non puoi batterli allora mettiti con loro” che aggiorna in chiave cinica la famosa “unità della Ditta”.

Perché in effetti Vincenzo De Luca, classe 1949, sindaco di Salerno per quattro mandati spalmati in oltre un ventennio a partire dal 1993, e ora candidato del Pd in Campania contro Caldoro, è in effetti la prova incarnata che il renzismo ormai comprende anche l’opposto del renzismo. Altro che rottamazione.
E in questo caso l’anti-rottamazione che ha fatto tutto il giro, passando per una ferrea capacità di resistenza, per diventare alla fine perfetta continuità: solo, una continuità vincente, quindi renziana. Non a caso, nell’autunno 2013, il sindaco sceriffo d’antica fede dalemiana fu sveltissimo a schierarsi con Renzi (e contro Cuperlo), facendogli conquistare il settanta per cento alle primarie. Quindi, chapeau.

Non risultasse abbastanza eloquente a spiegare l’inaffondabilità il 52 per cento appena conquistato alle primarie campane, basterebbe appena ricordare che poco più di un mese fa, De Luca è stato dichiaratodecaduto dalla carica di sindaco per ben due volte in dieci giorni: nel primo caso, il 21 gennaio, per effetto della sospensione dalla carica della legge Severino, scattata dopo una condanna in primo grado per abuso d’ufficio, ma subito congelata dal Tar in attesa della pronuncia della Corte costituzionale; la seconda volta, il 3 febbraio, quando la Corte d’Appello ha stabilito (confermando la decisione del Tar in primo grado, e quella dell’Antitrust) che De Luca avrebbe dovuto lasciare la carica di sindaco già il 3 maggio 2013, quando divenne viceministro alle Infrastrutture col governo Letta.
Anche in questo caso, come nel primo, De Luca ha comunque annunciato ricorso: la politica della resistenza ha del resto sin qui giocato a suo favore, perché è appunto dall’estate del 2013 che va avanti la manfrina sulla legittimità a restare a Palazzo di Città. E risulta indimenticabile, per gli appassionati del genere, quella foga con la quale a un certo punto il sindaco spiegava l’inesistenza del doppio in carico, con l’argomento che lui era sì viceministro, ma non aveva ricevuto le deleghe e quindi non era davvero, fino in fondo, viceministro; o come, ogni volta, scansava a mo’ di peste le dimissioni da primo cittadino spiegando che battagliava a rimanere, ma solo per evitare la “sciagura del commissariamento” del comune, in una perfetta immedesimazione tra i propri destini e quelli della città che gli ha regalato sempre plebisciti da 70 per cento di voti.

In un caso o nell’altro, comunque, la faccenda di Salerno per De Luca si chiude qui: alla carica di sindaco non sarebbe stato comunque ricandidabile. Si apre, invece, la partita sulla eventuale carica di governatore, poltrona che gli sfuggì già nel 2010 e sempre contro Caldoro.

Stavolta, oltre alla poco fotogenica storia della condanna, la faccenda contiene in nuce un problema grosso così per il Pd. Mentre il sindaco in conferenza stampa indulge vincente a spiegare una politica di alleanze “basate sul programma”, e giura che “non pagherà cambiali alla camorra”, il problema della legge Severino torna infatti dritto dritto sui tavoli della Capitale.
Non è tanto una questione tecnica, perché De Luca ha già annunciato che ricorrerà al Tar “il minuto dopo” che dovessero notificargli una decadenza da governatore per effetto della legge. Piuttosto, è un problema politico, del Parlamento. Il sindaco l’ha già spiattellato chiaro chiaro: “Io non provo imbarazzo, l’imbarazzo è dei gruppi parlamentari. Se si vuole, si può risolvere il problema prima delle elezioni amministrative. Mi auguro che non perdano un minuto di più per ripristinare il diritto”.

In soldoni: De Luca chiede che il Pd cambi la Severino, che per lui è “una legge sgangherata”, prima del voto in Campania. Ma la Severino è la stessa legge che ha provocato, per dire, la decadenza di Silvio Berlusconi da senatore. L’ex Cavaliere a suo tempo in mille modi si è sgolato per spiegarne i limiti, senza ottenere alcunché. E per quanto, adesso, anche i democratici con Debora Serracchiani riconoscano che quella legge contiene “un problema che va risolto”, ci si può solo immaginare il magnifico vespaio che ne nascerebbe a toccarla ora, quando riguarda direttamente, ad personam, il Pd.

Fonte;L'Espresso.it



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