lunedì 13 maggio 2013

UN TAGLIO DI TROPPO IN SALA PARTO

LA PRATICA CONDANNATA DALL' OMS

 

"Dannosa, tranne in rari casi": così è considerata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità l'episiotomia, un intervento praticato quando la testa del bambino sta per affacciarsi. Gli ultimi dati ufficiali sono del 2002 e amontano a 200mila casi. Una nostra inchiesta negli ospedali mostra come sia ancora una tecnica assai diffusa. In un video le stestimonianze delle donne

  Cinque anni per tornare a fare l'amore. "Tutta colpa dell'episiotomia". Ne è sicura Roberta, 36 anni, che da quando è stata sottoposta a questo intervento ha dovuto dire addio all'intimità con il proprio compagno per un lungo periodo. Roberta è solo una delle donne sottoposte ogni anno all'episiotomia. Un tempo considerata un aiuto durante la fase espulsiva del parto, oggi è invece rubricata dalla comunità scientifica,  dall'Istituto superiore di sanità (Iss) e dall'Organizzazione mondiale della salute (Oms), alla voce "dannosa, tranne in rari casi". Per episiotomia si intende un taglio perpendicolare al perimetro della vagina nel momento della sua massima dilatazione, quando la testa del bambino sta per affacciarsi alla luce. Durante questa fase è frequente che la vulva delle partorienti si laceri naturalmente. Con l'episiotomia, che è un intervento chirurgico a tutti gli effetti, si evitano queste piccole lacerazioni a favore di una sola incisione laterale più profonda, che recide anche il muscolo del perineo e impiega quindi molto di più a cicatrizzarsi: in genere ci vogliono sui 20 giorni solo per ricominciare a camminare e a sedersi come prima. Oltre a disturbi temporanei come l'incontinenza, non sono rare complicazioni con serie conseguenze, come nel caso di Marta che, per colpa di un punto suturato male, a distanza di 20 anni si è dovuta sottoporre a un'operazione chirurgica. E ovviamente per ricominciare ad avere rapporti sessuali passano mesi.

Le linee guida sul parto dell'Oms Già nel 1985 l'Oms aveva stilato il documento "Tecnologia appropriata per la nascita"  per definire quali erano le buone pratiche da seguire prima, durante e dopo il momento del parto. Come ribadito nel video da Serena Donati, dirigente Iss e responsabile per le linee guida in materia di nascita e maternità, "l'episiotomia non aiuta in alcun modo l'esito del parto, non migliora la salute della mamma e del bambino e deve essere una pratica di emergenza da eseguire solo con una sofferenza fetale grave". Nonostante il protocollo indichi nel 5 per cento un giusto ricorso a questo intervento, nel nord si arriva al 60 per cento e al sud 70: in totale ogni anno sono 200mila. Questi dati si riferiscono al 2002; dopo più di dieci anni avremmo voluto fare un confronto, ma un dato aggregato su base nazionale oggi non esiste. Gli unici numeri ufficiali in circolazione sono quelli degli ospedali e delle regioni virtuose quali Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna, che all'interno della propria struttura o del proprio territorio, hanno registrato in cartella clinica tutti i trattamenti medici ai quali le partorienti sono state sottoposte. Ma a parte queste rare eccezioni, in generale nessuno, neanche gli stessi primari, sa esattamente quante episiotomie vengono eseguite.

EPISIOTOMIA: QUANTO È PRATICATA, I DATI


Abbiamo dunque raggiunto per telefono i dirigenti ospedalieri e chiesto loro questi dati. Pochissime strutture (tra cui il Gaslini di Genova, il S. Anna  di Torino) hanno saputo  -  o voluto  -  fornirci queste statistiche. Accanto a questi dati ufficiali, quindi, ci sono quelli approssimativi di alcuni primari di ginecologia che hanno accettato di rispondere, ma la maggior parte dei numeri che abbiamo raccolto ci sono stati riferiti in forma anonima, e non sono supportati da documentazione. Quello che è emerso è che l'episiotomia non è affatto uscita di scena e non si tratta di un fattore geografico: come per l'incidenza dei parti cesarei, anche in questo caso la situazione è a macchia di leopardo, per cui ci sono grosse variazioni anche nella stessa regione o nella stessa città tra struttura e struttura. In generale si registrano interventi di episiotomia dal 3 per cento all'80, ma su 18 ospedali censiti, 12 superano il 50 per cento.

Le risposte dei ginecologi. A valutare dalle risposte che i ginecologi intervistati hanno offerto alle nostre telecamere, ad ogni modo, sembra che il problema sull'appropriatezza o meno dell'episiotomia non sussista nemmeno. Secondo Raniero Cartocci, primario di ginecologia dell'ospedale San Giovanni di Roma (3mila parti l'anno, 80 per cento di episiotomie) "l'episiotomia è necessaria per evitare il prolasso dell'utero", per Antonio Castellano, primario dell'ospedale San Paolo di Civitavecchia (300 parti l'anno, 70 per cento di episiotomie) "quando la testa del bimbo è troppo grande, non c'è altro modo per farla uscire ed è colpa dell'età sempre più avanzata delle madri: i tessuti perdono di elasticità e bisogna intervenire col bisturi".

Non si tratta solo di episiotomia. A complicare la situazione ci si mettono anche altre pratiche confutate dalle evidenze scientifiche, ma ancora diffusissime sul campo, come la manovra di Kristeller o la rottura manuale del sacco. La Kristeller, ovvero una serie di potenti spinte esercitate sull'addome della partoriente per far espellere il bimbo, è così pericolosa - può provocare fratture delle costole, la rottura dell'utero, fino addirittura alla morte della madre - che i protocolli internazionali la prevedono solo in casi di estrema urgenza. Oppure la rottura del sacco, che non ha alcuna giustificazione se non quella di velocizzare la nascita, ma in maniera innaturale e più dolorosa; così come il parto in posizione ginecologica (supina, ndr) è sconsigliato. Infatti, come spiega Donati dell'Iss: "La vagina si dilata del 20 per cento in meno, meglio sarebbe lasciare scegliere alla donna la posizione in cui si sente più comoda, ma questo avviene di rado".

Davanti a tutto questo la legge italiana prevede che la donna, come qualsiasi paziente, possa decidere a quali trattamenti sottoporsi e sono molte le associazioni come Freedom For Birth  che si battono in questo senso. Esistono il consenso informato, il piano del parto e altri strumenti per mettere per iscritto la propria volontà, e anche il Parlamento europeo si è pronunciato in questo senso con "La carta dei diritti della partoriente"  ma spesso la concitazione del momento, il dolore e la paura della partoriente, fanno sì che non venga chiesta loro alcuna autorizzazione e che anzi i loro desiderata passino in secondo ordine. Violando di fatto anche un diritto costituzionale.
 Fonte; Repubblica.it

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