venerdì 26 settembre 2014

TRATTATIVA STATO-MAFIA,I GIUDICI DI PALERMO: NAPOLITANO DEVE TESTIMONIARE


Per la Corte d'Assise la deposizione non è “né superflua né irrilevante”, Il capo dello Stato aveva già comunicato di non avere niente da dire sui timori di D'Ambrosio. Il presidente: "Nessuna difficoltà a deporre presto". I Cinque stelle: "Magari è la volta che si dimette"


Non c’è pace sul Colle più alto. Se ieri Ferruccio De Bortoli nell’azzoppare Renzi sul Corriere della Sera, descriveva come imminente il cambio della guardia al Quirinale (“forse a inizio 2015”), oggi ci pensano i giudici a mettere di nuovo in prima pagina il capo dello Stato, ricordando che il filo che lo lega al processo sulla presunta trattativa tra Stato e mafia, anche dopo la distruzione delle sue conversazioni con Nicola Mancino, non è ancora del tutto dipanato.

La Corte d’assise di Palermo, presieduta da Alfredo Montalto, ha infatti deciso  oggi di ammettere la testimonianza di Giorgio Napolitano, definendo la sua deposizione “né superflua né irrilevante”. La data non è stata ancora stabilita, ma il capo dello Stato sarà sentito a breve, a porte chiuse, presenti solo pm e difensori degli imputati. “Non ho alcuna difficoltà a rendere al più presto testimonianza”, scrive in una nota il capo dello Stato, prendendo atto della decisione.

Del resto, la marcia di avvicinamento dei giudici verso le porte del Quirinale era in atto da tempo. A luglio, avevano già sfilato alcuni protagonisti  del giallo sulle pressioni di Nicola Mancino, nelle telefonate con il consulente giuridico del Colle Loris D’Ambrosio, per non essere chiamato al confronto con Claudio Martelli nel processo sugli ufficiali dei Ros Mori e Obinu. Il presidente del Senato ed ex Procuratore generale Antimafia Pietro Grasso, fra gli altri, aveva rinunciato alle sue prerogative al grido: “L’aula bunker dell’ucciardone è il tempio della  verità”.

Nell’autunno 2013, al contrario, il presidente Napolitano aveva mandato una lettera ai giudici di Palermo, in cui pur dicendosi pronto a testimoniare, chiariva i “limiti della sua reale conoscenza in relazione al capitolo testimoniale di prova ammesso”. Ossia spiegava di non avere granché da dire sui timori di D’Ambrosio. Timori che il consigliere giuridico aveva messi nero su bianco poco prima di morire improvvisamente nel giugno 2012 in una lettera indirizzata a Napolitano in cui, ribadendo la propria correttezza, si diceva preoccupato di essere stato usato come “ingenuo e utile scriba” di “cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi” nel periodo tra il 1989 e il 1993.

Dopo quella lettera di Napolitano, l' Avvocatura dello Stato e i legali di alcuni imputati avevano chiesto ai giudici di revocare la testimonianza . Oggi, invece, la Corte ha deciso di ammettere la deposizione. In sostanza, si legge nell’ordinanza di Montalto, perché “la superfluità o irrilevanza della testimonianza deve essere valutata sui fatti oggetto dell'articolato e non in relazione a quello che il testimone sa dei fatti”. Insomma, anche se Napolitano ha escluso di sapere qualcosa, siccome i fatti sono “rilevanti”, le parti hanno “diritto di acquisire nel contraddittorio” le sue dichiarazioni, fossero anche dei non so. Le sue parole potrebbero “assumere una valenza anche alla luce delle altre valutazioni probatorie” e “non è comunque escluso che il pm abbia interesse a sentire il testimone”.

All’udienza, ancora da definire, non potranno comunque partecipare né gli imputati, tra cui Mancino, Dell’Utri, il generale Subranni e i boss mafiosi Riina e Bagarella, né il pubblico. Un elemento quest’ultimo che viene preso di mira dai Cinque Stelle. “Sarebbe bello che Napolitano chiedesse di rinunciare alle prerogative che gli consentono di rendere la testimonianza senza pubblico”, dice Alfonso Bonafede. Mentre il senatore Santangelo si augura che sia “la volta buona”: “Magari stavolta Napolitano vorrà comunicare anche le sue dimissioni”.

Fonte;L'Espresso.it

Nessun commento:

Posta un commento