giovedì 9 maggio 2013

IL TUNNEL DELLA VERGOGNA DEL FEDERICO II

LA ROVINA ANNUNCIATA DI UN POLICLINICO

Una cittadella di 440 mila metri di superficie, con 21 palazzine per l'assistenza, 26 Dipartimenti, mille posti letto di ricovero ordinario e 200 di day hospital, ottocento medici e 1200 infermieri: il Federico II è un gigante, ma in ginocchio. Il nostro videoreportage tra cunicoli e norme igieniche non rispettate. Una mancanza di manutenzione già denunciata una decina di anni fa.  L'alta mortalità delle operazioni al cuore, lo scandalo dei parti cesarei. Gli attestati falsi

NAPOLI - Il cemento "scoppiato" dei muri appare sgretolato, i ferri che sporgono arrugginiti in maniera sempre più insistente sembrano lo scheletro di un'enorme carcassa. I ventun padiglioni del Policlinico universitario Federico II di Napoli - una delle più grandi "maternità" del Sud - sono collegati da chilometri di tunnel della vergogna dove la sporcizia, il degrado, l'abbandono raggiungono livelli inaccettabili per una struttura sanitaria.

I cunicoli della vergogna. In quei tunnel che collegano uno all'altro i reparti dei vari padiglioni, lo scenario è da film dell'horror: pareti bucate, ammuffite e scrostate. Pendono dai soffitti cavi, garze marce si sfaldano da tubature arrugginite e gocciolanti, stanze sporche adibite a spogliatoi, altre, abbandonate, sono diventate discariche di calcinacci, fango e polvere. Le cabine di manutenzione impianti (locali umidi dove ristagnano pozzanghere putride) sono aperte perché qualcuno ha divelto i lucchetti. I quadri elettrici privi degli appositi coperchi perché qualcuno li ha rubati sono invasi da ragnatele, grovigli di cavi a vista. Le norme sulla prevenzione degli infortuni e sulla sicurezza del lavoro, in quelle gallerie ipogee, non sembrano rispettate: il personale esce dai reparti, ci cammina in camice bianco per poi rientrare nelle corsie, i muletti trasporta merci li percorrono trasportando anche i contenitori dei pasti.

Il Policlinico, tra il Vomero e i Camaldoli, è il più articolato polo ospedaliero universitario del Mezzogiorno: una struttura gigantesca, 440 mila metri di superficie, 21 palazzine per l'assistenza, 26 Dipartimenti, mille posti letto di ricovero ordinario e 200 di day hospital, ottocento medici e 1200 infermieri.  Fu costruito - si legge nella Carta dei Servizi - "nel 1972 con tecniche edilizie allora all'avanguardia secondo un modello a padiglioni". Tutto in cemento armato, pareti comprese. Ma questo colosso sanitario, a solo una quarantina d'anni dalla costruzione, è in una situazione di degrado strutturale senza precedenti.

Un degrado annunciato. Già nel 2005 Carmine Marmo, allora direttore dell'Azienda universitaria ospedaliera Federico II, denunciava al cronista Giuseppe Del Bello della redazione di Napoli di Repubblica il degrado strutturale. "Il Policlinico - dichiarava otto anni fa Marmo - soffre gli effetti del tempo e di una manutenzione di cui nessuno si è mai preoccupato". Sempre otto anni fa, l'allora dg spiegava: "La cittadella universitaria ha ben 35 anni e 24 edifici che stanno andando in malora, dagli infissi che cedono alle infiltrazioni d'acqua". "Dovremmo avere finanziamenti ben più sostanziosi - diceva ancora - almeno come quelli concessi con una legge speciale nel '99 al Policlinico Umberto I di Roma: 250 milioni di euro per la ristrutturazione degli immobili. Difficile andare avanti con i 155 milioni di euro annui erogati dalla Regione, appena sufficienti a pagare gli stipendi del personale e alla manutenzione dell'alta tecnologia. In cassa rimangono sì e no 2 milioni di euro con i quali possiamo predisporre solo piccoli interventi a macchia di leopardo".

Federico II, anno 2013: le cucine. Dalla denuncia di Marmo, però, le cose non sono cambiate. Anzi, sono inesorabilmente peggiorate. Discorso a sé vale per le cucine, ricavate in una delle tante palazzine che soffrono dei segni del tempo e della carenza di manutenzione. Come si vede nel video registrato con una telecamera nascosta, all'interno dei locali dove si preparano i pasti l'igiene scarseggia, i contenitori del cibo non sono usa e getta, ma vengono lavati e poi riciclati. I contenitori del cibo, trasportati sui muletti da un padiglione all'altro lungo i cunicoli della vergogna, passano ai reparti sugli stessi montacarichi utilizzati dalla spazzatura. Nelle corsie, infine, è il personale delle cucine, e non come si dovrebbe quello infermieristico, a consegnare ai degenti il vitto. Entrando e uscendo dai locali che ospitano i malati, gli operatori delle cucine potrebbero aumentare il rischio di trasmettere infezioni ospedaliere.

I punti dolenti. L'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali valuta, con il Programma nazionale esiti, per conto del ministero della Salute l'efficacia di tutti gli ospedali italiani . Dai dati e dalle tabelle dell'Agenas, emergono tutti i limiti e criticità del Federico II. Ecco gli esempi più significativi.

La mancanza di un vero Dea (Dipartimento Emergenza e Accettazione). C'è solo un pronto soccorso ginecologico ed è una lacuna che ha dell'incredibile in una struttura universitaria dove dovrebbero formarsi le nuove generazioni di medici.

Cardiochirurgia. L'alta mortalità delle operazioni al cuore. Ma il Policlinico, stando agli ultimi dati disponibili, non è certo un'eccellenza nel campo della cardiochirurgia: nel 2011 sono stati fatti solo 90 by pass coronarici isolati, in continuo decremento dal 2009, con una mortalità del 5% contro una media nazionale del 2%. Nei migliori ospedali italiani è inferiore a 1%. Solo 62 gli interventi di valvuloplastica con una mortalità del 5% contro una media Italia del 3%. Una piccola cardiochirurgia, ben al di sotto degli standard nazionali di sicurezza ed efficacia (nel 2012 è cambiato cardiochirurgo, ma la sua casistica non è ancora nota). Pochi anche gli interventi sugli aneurismi addominali: ne sono stati fatti 21, con il 10% di mortalità.

Cesarei scandalo. Ma lo scandalo più grosso è rappresentato dalla percentuale dei cesarei. Va detto che il Federico II è una delle maggiori maternità del Sud per numero di parti: nel 2011 ce ne sono stati 2217. Tra le donne che non avevano avuto un precedente parto chirurgico, ben il 60% è stato sottoposto a parto cesareo. Una percentuale, questa, osservano gli epidemiologi dell'Agenas, imbarazzante rispetto a una media nazionale già altissima del 27% tanto più in una struttura universitaria che dovrebbe formare i futuri ostetrici a gestire i parti. Per capire come una media più che doppia rispetto a quella nazionale sia un numero scientificamente ingiustificabile, basta confrontarla con quella di altri grandi centri di maternità: 6% di cesarei (senza un precedente) a Treviso, 15% a Torino, 11% a Cuneo, 10% a Lecco, 12% a Como. Come sono possibili queste differenze di percentuali? Cosa fa sì che sei donne su dieci nel Napoletano abbiano "bisogno" del cesareo contro 6 su cento nel Trevigiano? Il perché di così tanti tagli cesarei, per la verità, è noto: i medici organizzano meglio il loro lavoro (nel pubblico, ma soprattutto nel privato), e organizzano meglio pure il loro tempo libero: inutile dire che non si partorisce quasi mai di cesareo durante il week end. E per giustificare questo incredibile eccesso di parti cesarei molti ginecologi napoletani registravano diagnosi di presentazioni anomale del feto: oltre il 20 per cento dei neonati napoletani si presenterebbe "girato" al momento del parto, rispetto a meno del 5% nel resto d'Italia. Una recente indagine condotta dai carabinieri del Nas su ordine del ministro della Salute Balduzzi ha scoperto che molte di queste diagnosi non hanno alcuna documentazione clinica.

Attestati falsi. Un'altra caratteristica in negativo del Federico II è la produzione di documenti sanitari falsi. Durante il "sopralluogo" del cronista di Repubblica al Policlinico, è stato accertato che esiste la possibilità di ottenere l'attestato, indispensabile per lavorare negli ambienti sanitari, non dopo aver frequentato l'apposito corso dell'"Ente di formazione Asl Napoli 1 centro". Ma usando un fax simile stampato direttamente dal computer. Pare che parte del personale, anche quello delle cucine, ma non solo, sia dotato di questo attestato falso. Il documento che Repubblica è in grado di esibire (dopo aver bianchettato il nome) è stato ottenuto in quel modo da un dipendente. Va detto che quello originale, previa la frequentazione di un corso, costa circa 30 euro, soldi che dovrebbero entrare nelle casse dell'Asl. Con il sistema della falsificazione al computer, invece, si ottiene tutto gratis. Subito. E soprattutto con l'elusione dei controlli sanitari. 
 
Fonte; Repubblica.it


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